C’è chi vede numeri, bilanci, organigrammi. E poi c’è chi, come Gian Antonio Nicoletti, legge l’impresa come un romanzo di famiglia – che non si limita al solo vincolo di sangue. Capitolo dopo capitolo, generazione dopo generazione, passano il testimone non solo figli e figlie, ma anche quei collaboratori, consulenti e manager che, con discrezione e fedeltà, contribuiscono a scriverne la trama. Nel cuore del bellunese, Nicoletti & Associati è un atelier strategico dove si disegnano eredità, si modellano visioni, si cuciono – con eleganza – gli equilibri tra passato e futuro. Incontrarlo è come entrare in un salotto riservato, dove l’impresa non è mai solo azienda ma racconto, identità, stile.
Per molti imprenditori il passaggio generazionale è una minaccia. Lei invece lo racconta spesso come una passerella, più che una prova.
Assolutamente. Lo vedo come un passaggio di testimone perché non si tratta solo di cedere un ruolo, ma di trasmettere una visione. L’impresa familiare è un’eredità vivente, fatta di intuizioni, errori, successi condivisi per cui non la si può abbandonare come un vecchio maglione: va trattata come un capo tailored che richiede tempo, ascolto e maestria artigianale.
Nicoletti & Associati lavora con le imprese del Nordest, un territorio iconico per il made in Italy. Che dinamiche osserva in questa fase di transizione?
Qui, tra le vette e i capannoni trasformati in boutique dell’industria, si è costruito un modello fondato sul genio del fondatore. Uomini (e donne) visionari, pionieri, autodidatti. Ma, oggi, quel modello è chiamato a fare spazio a qualcosa di nuovo: i figli – spesso con esperienze internazionali e una visione manageriale – che non vogliono “portare avanti”, vogliono dare forma al futuro. Ecco che, in questo caso, il rischio è che le due anime – quella dell’istinto e quella della struttura – si guardino con sospetto. Il mio lavoro è farle danzare insieme in armonia.
Cosa rende davvero efficace questa regia?
Tre elementi: visione chiara, tempi giusti, figure terze. Il primo errore che vedo? L’improvvisazione. Il passaggio generazionale non è un cambio di poltrona: è un percorso che va preparato con anni di anticipo.
Secondo errore: evitare i nodi. Quote, ruoli, aspettative – se non vengono messi sul tavolo con chiarezza, prima o poi esplodono. E infine: mai pensare di potercela fare da soli. Un coach, un consulente, un manager esterno… serve qualcuno che sappia guardare da fuori. Con stile, ma senza sconti.
In tutto questo, dove si colloca la parola “sostenibilità”?
Al centro! Una successione d’impresa fatta male non danneggia solo l’azienda: svuota un territorio. Quando un’impresa chiude, o viene ceduta senza visione, il danno è culturale, umano, sociale. Si perdono relazioni, si perdono saperi. Una buona transizione, invece, è un atto d’amore, per la comunità, per le famiglie, per l’identità di un luogo.
Se dovesse lasciarci con le sue “regole d’oro” per un passaggio generazionale degno di un red carpet?
Pianificare come un evento couture. Dire tutto, senza veli. E aprire la porta a chi sa dirigere l’orchestra.
The Golden Baton
Some people see numbers, balance sheets, org charts; Gian Antonio Nicoletti sees a family story. For him, a business is like a novel – written chapter after chapter, generation after generation not only by sons and daughters, but also by trusted collaborators, advisors, and managers who help shape the plot. At Nicoletti & Associati, in the heart of Belluno, legacies are sketched, visions outlined, and the past and the future are carefully bridged. While many entrepreneurs consider succession as a threat, Nicoletti sees it Nicoletti as a true passing of the baton. A family business is a living legacy, built on instinct, mistakes, and shared wins: it needs to be treated with the utmost care. The Northeast area of Italy was shaped by visionary pioneers, often self-taught, bold and instinctive; now, a new generation is stepping in, often with global experience and a managerial mindset. They don’t just want to carry on the legacy, they want to shape the future. The challenge is to get instinct and practicality to work together, not against each other. There are three main key elements: clear vision, the right timing, and third-party insight. The biggest mistakes are improvising and avoiding the hard talks: shares, roles, and expectations need to be discussed. Above all, having a consultant or external manager is important in order to bring a fresh perspective. A failed succession doesn’t just hurt the business, it empties out the local fabric. When a company shuts down or gets sold without direction, know-how and human relationships vanish. A good transition, instead, is an act of love: for the community, for families, for the identity of a place. The golden rules for a seamless succession are to plan it like an important event, to say everything without holding back, and to open the door to someone who can lead the orchestra.